Cesare Pavese – Notte di Festa – Suicidi
Ci sono dei giorni che la città dove vivo, e i passanti, il traffico, gli alberi, tutto si sveglia al mattino con un aspetto strano, usuale eppure irriconoscibile, come in quegli istanti che ci si guarda nello specchio e si chiede “chi è quel tale?”. Per me sono i soli giorni amabili dell’anno.
In queste mattine io scappo, se posso, un poco prima dall’ufficio e scendo nelle strade mescolandomi alla folla, e non ho ritegno di fissare ciascuno che passa, allo stesso modo che, immagino, qualche passante guarda me, perché davvero in questi momenti provo un senso di baldanza che mi rende un altr’uomo.
Sono convinto che nulla di più prezioso avrò mai dalla vita, se non forse la rivelazione di come mi possa venire fatto di provocare a piacimento questi istanti. Un modo di prolungarli che qualche volta mi è riuscito, è di sedermi in qualche caffè recente, invetriato e chiaro, e di qui cogliere il frastuono del viavai e della strada, il balenio dei colori e delle voci, e la calma interiore che regala ogni tumulto