A vent'anni me ne volevo andare: un treno,un aereo,una motocicletta,una nave,una barca a remi,una zattera,un gommone,una mongolfiera...volevo trovare la mia città ideale. E da giovani, si sa, non ci si può mai accontentare...e se Venezia poteva andare ma senza i turisti ovunque a visitare,se Dublino la trovavo ahimè troppo piovosa e Ostuni troppo bianca come un faro nella notte vicino a un mare che mai riposa,alla fine me ne sono tornato,non appagato.
La mia terra d'origine dove la terra non c'è più,città grigia di asfalto e marciapiedi dissestati da radici che cercano respiro da sotto il cemento,città di manifesti e di immagine e altoparlanti,assordante e frenetica da non riuscire più a sentire niente. C'è un'ora nella notte,ho scoperto recentemente nei panni di spazzino, in cui la città si svuota, si...pulisce...e diventa silenziosa,disponibile. E' stato alle tre della notte del mio primo giorno di questo nuovo lavoro che ho imparato ad amarla,e da allora abbiamo appuntamento fisso: prendo l'ultimo tram per ritrovarmi solo in piazza,poi tutto si blocca e restiamo soli io e lei: inseguo l'odore della spazzatura che la soffoca,della sporcizia che le si incrostra tra i muretti, le scale, i ciottoli dei vicoli più nascosti,la libero,mi prendo cura dei suoi angoli dimenticati,delle sue finestre rotte,e ogni volta a lavoro finito dopo ore di strade percorse a piedi con scopa e sacchetti resto incantato a ritrovarla bellissima,sempre cambiata e mia.
Resto sui gradini della piazza fino a quando spunta l'alba e arrivano assonnati i primi passanti con i cani a passeggio e i primi camion con le bancarelle del mercato.
E riprendo il tram per allontanarmi dalla folla che incurante invaderà uno spazio funzionale che nella fretta perderà valore,e me ne vado a dormire, dando un ultimo sguardo a questa mia città che di giorno diventa invisibile, che solo per me si sveglia alle tre di notte,e che con me di giorno se ne va in punta di piedi a riposare.