Vi è mai capitato di avere l’impressione che Milano stesse cercando di dirvi, o meglio, di chiedervi qualcosa? A me capita spesso. Soprattutto d’autunno, che per la città è il tempo delle contraddizioni, e perciò il più vicino alla sua essenza.
Vedete, Milano non è un essere unico: è un mostro che ha una sola testa ma tanti corpi, e d’autunno questi corpi portano all’estremo i loro contrasti.
I corpi più caduchi e passeggeri della città, quelli umani – i nostri - con il freddo diventano ancora più vulnerabili, e quindi si coprono, si nascondono, si proteggono, si corazzano quasi a chiedere scusa della loro debolezza.
I corpi vegetali invece fanno l’esatto contrario: si spogliano, spudorati, in un gioioso baccanale di vento e colori, quasi a voler gridare “NOI SIAMO PIU’ FORTI DI VOI, PICCOLI ARROGANTI UOMINI! GUARDATE QUA, LA NOSTRA MORTE E’ UNA FESTA! NOI RINASCIAMO SEMPRE!”.
Poi ci sono i corpi artificiali, che sono i più vistosi e appariscenti di Milano e che si danno arie da dei onnipotenti, onnipresenti e immortali. Strade, ponti, edifici di ogni tipo e di ogni epoca, sotterranei, binari che tagliano la città come vene disordinate ma precise. Automobili e motociclette che scandiscono il tempo con i loro passaggi regolari e monotoni, semafori, parcheggi, biciclette furtive, lunghissimi vermi arancioni o verdi chiamati di solito “tram”. I corpi artificiali sono i potenti padroni, i guardiani indiscussi, il simbolo stesso di Milano, e d’autunno sembrano risvegliarsi e vibrare di nuova vita, come se recuperassero il vigore attenuato durante l’estate, quando sembravano rallentati, diradati, sbiaditi. Parevano disorientati e stanchi, d’estate, “E invece no, siamo ancora qui, bentornati, siamo ancora qui,”, sembrano sussurrare il primo giorno di autunno, “e ci saremo sempre”.
L’autunno, a Milano, è la sinfonia delle voci contrastanti di questi corpi. Fragilità, esuberanza e autorità: le tre anime della città danzano insieme per chi le può vedere. E ognuna chiede continuamente di essere guardata e riconosciuta. Può capitarti in qualsiasi momento di incappare in un vecchio slavo - che vive a Milano da 30 anni ma che comunque è sempre Straniero - che ti chiede un buono pasto ad un semaforo, o in un faggio pendulo che piange come un salice ai giardini di via Guastalla, o in un’occhiataccia gelida della Torre Velasca.
Quando, di notte, attraverso la città in bici, ogni tanto riesco a sentire le sue tre voci tutte insieme: in quei momenti vengo pervasa da un desiderio fortissimo, il desiderio di liberare tutti i corpi di Milano, di fare che gli uomini siano uomini e gli alberi alberi e le case e le strade case e strade non in quanto entità produttive o funzionali al sistema o redditizie, ma tutti in quanto corpi, in quanto possibilità di vita e di intelligenza e di immaginazione. Vorrei che il mio mostro amasse ogni sua singola cellula, che i tre corpi si parlassero e si modificassero a vicenda, perché è questo che mi chiedono, quando riesco ad ascoltarli, tanto che non arrivo a capire se il mio desiderio sia proprio mio o piuttosto solo un riflesso, un’eco delle loro voci.
Gli edifici vorrebbero abolire le serrature dalle loro porte perché dicono di aver bisogno di respirare, e vorrebbero essere colorati e accoglienti e ospitare corpi umani che cantano ballano recitano cucinano mangiano ridono piangono e fanno tutte le cose strane e folli e belle che di solito i corpi umani fanno; le strade e i binari vorrebbero portare in posti in cui chi li percorre abbia veramente voglia di andare, le biciclette non vorrebbero aver paura delle automobili e le automobili non vorrebbero uccidere chi le guida e chi guida le biciclette; gli alberi vorrebbero la compagnia e l’aiuto di altri alberi nel loro faticoso lavoro, e anche gli uomini vorrebbero la compagnia di altri alberi, e anche di altri uomini, soprattutto di altri uomini, soprattutto di altri uomini diversi.
Nessuno dei tre corpi della città, però, vorrebbe eliminare la disarmonia che lo lega agli altri due: Milano racconta disequilibrio, spigoli, contraddizioni, è questo il sangue del mostro. Nuove forme di dissonanza creativa, nuovi incontri e scontri, nuovi modi di incastrare le sue differenze. Più biologia. Ecco cosa desidera ostinatamente la mia città, e io per lei, e con lei.