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 Fiaba della Città che vorrei

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Martina




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MessaggioTitolo: Fiaba della Città che vorrei   Fiaba della Città che vorrei Icon_minitimeVen Dic 02, 2011 9:36 am

C'era una volta, in un paese molto vicino, una Grande Città, piena di gente.
In questa città, le persone parlavano. Sempre. Paravano tutto il giorno e tutta la notte, a tutte le ore. Parlavano appena svegli, mentre facevano colazione, con la bocca piena che si vede tutto il cibo masticato, in bagno, sotto la doccia, per strada, al lavoro, davanti alla tv, al cinema, a teatro e alle partite di calcio, dove spesso, invece che parlare, urlavano. Parlavano mentre si baciavano o si abbracciavano, mentre si lavavano i denti, con il dentifricio che cola, e parlavano addirittura mentre dormivano. Ogni via, ogni piazza, ogni casa era costantemente riempita da un brusio, un vociare rimbombante di migliaia di voci che si sovrastavano, lottavano e impedivano di pensare, Perché le persone, con tutto questo bisogno di parlare, di farsi sentire, di superare gli atri, si erano dimenticate di ascoltare. Forse, prima, c'era stato un tempo in cui erano stati capaci di ascoltare, ma poi, tutto d'un tratto, se n'erano dimenticati. E smettendo di ascoltare, smisero anche di pensare. Avevano perso le loro anime. Capitò che un giorno, un giorno come tutti gli altri, nella Grande Città arrivò una bambina. Era una bambina molto piccola, aveva una salopette gialla e una maglietta blu, una massa di riccioli rossi, color fiamma, color fuoco, e dei grandi occhi neri. Ti ci potevi perdere in quegli occhi. Maya, così si chiamava la bimba, era una vagabonda, senza mamma nè papà ed era sempre vissuta per strada. Non aveva nessuno oltre a sè stessa e perciò era molto silenziosa. Non parlava quasi mai, ma era molto saggia ed ogni volta che apriva bocca tutti la ascoltavano perché diceva cose molto intelligenti. Quando arrivò nella Grande Città rimase sorpresa da tutte quelle persone che parlavano, parlavano, ma in realtà non dicevano niente. Si aggirò per la città fino ad arrivare nella Grande Piazza e lì si fermò ad osservare il Gran Via-Vai intorno a lei, domandandosi che cosa terribile fosse accaduta, che cosa avesse portato le persone a dimenticarsi di ascoltare. Decise che lei, piccola com'era, avrebbe provato a rompere quell'incantesimo. Fermò un uomo in tuta e disse: "Scusi, signore, come mai..", ma lui con un gesto brusco la allontanò, continuando a parlare di jogging e fitness e pesi e palestre. La bimba non si perse d'animo e riprovò con una signora in tailleur: "Scusi, signora, ma perché..", ma quella tirò dritto, urlando qualcosa sule banche e i prestiti, per non parlare degli assegni!
Maya, scoraggiata, si sedette per terra, scuotendo i riccioli rossi, e , per consolarsi, fece una cosa che faceva sempre quando si sentiva sola. Cominciò a cantare, fra sè e sè. Dagli occhi, iniziarono a scendere, brillanti, alcune lacrime che le rigarono le guance. E più piangeva, più la sua canzone risuonava nell'aria, sopra le mille voci della Grande Città. Lentamente, il vociare divenne brusio, il brusio sussurri, fino a che sulla città calo il silenzio, rotto solo dalla esile vocina di Maya. La bimba dai grandi occhi neri, aveva fatto una magia, aveva rotto l'incantesimo. Aveva insegnato a quelle persone ad ascoltare. Ad ascoltare non solo gli altri, ma sè stessi. Soprattutto sè stessi.

"E sbattiamo le braccia, contro il cielo.
Gli occhi fissi all'amore, i corpi volare.
Sapevamo cavalcare, aquiloni lanciare.."

La bimba sorrise e continuando a cantare, si allontanò dalla Grande Città. Una piccola figura con la salopette gialla e i riccioli rossi. Color fiamma, color fuoco. Maya, la bimba dai grandi occhi neri. Ti ci puoi perdere in quegli occhi.

"E sbattiamo le braccia, contro il cielo.
Gli occhi fissi all'amore, i corpi volare.
Sapevamo cavalcare, aquiloni lanciare.."
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