Livia (Mariangela)
Da: B.-Marie Koltès, La notte poco prima della foresta
Proposta n.2
Avessi potuto immaginarmela, me la sarei inventata così, tale e quale a come l’ho vista quando l’ho abbordata: piccola, non molto solida, bionda bionda coi riflessi, i riccioli, ma non troppo bionda e senza neanche troppi riccioli, giusto quello che ci voleva per crederci e perché non fosse pensabile di non correrle dietro, e quando l’ho abbordata: hai da accendere, per favore, scusa, e degli occhi che guardano come uno se lo può soltanto sognare e brillano esattamente come io li avrei immaginati, per sognare, una sera deserta e solitaria in cui non succede nulla, ma ci sono altre sere, malgrado la pioggia, malgrado questo schifo di luce e la notte che rende tutto difficile, ci sono sere in cui ci sono in giro delle ragazze – non una sola, così, per caso, ma tante una dopo l’altra, sempre più belle, ma non belle come pensi tu, belle da non credere, da renderti scemo, da renderti sempre più scemo, delle ragazze sempre più incredibili, e non si sa quando finiranno, sono sempre di più, ti fanno uscire di testa, non sogni più nulla perché ci sono davvero ragazze del genere, e ti passano davanti! E quando hai finito di pensare che possa essere ancora meglio, che puoi dar di fuori ancora di più a guardarle, ne arriva una come quella, che devi per forza mollar tutto per correrle dietro, senza pensare alla pioggia e alla mancanza di soldi che ti fregano, perché quella lì sei obbligato a correrle dietro, con quei capelli, quegli occhi che ti guardano di sottecchi, quell’aria mica tanto solida.
Avrebbe potuto cantarmi qualsiasi cosa, io non avrei potuto fare più nulla, sarei stato d’accordo su tutto, solo a sentire il suono che avrebbe avuto la sua voce se avesse cantato, avrei nascosto chi sono, avrei aderito a tutto, forze nuove, fascisti, monarchici, Occidente, picchiatori di periferia, chiavatori organizzati, inculatori internazionali, avrei detto quello che voleva lei, avrei dato la caccia a chi avrebbe detto lei, perché era bella da non credere, per quello che prometteva dopo la caccia, perché mi aveva fatto mollare tutto e correre, perché se avesse cantato avrebbe cantato in un modo! Che avrei dovuto fare? Tapparmi le orecchie?
Non so il suo vero nome, lei me ne ha detto uno ma non era il suo, e allora non dirò nemmeno com’era fatta, nessuno saprà mai chi ha giaciuto con chi, per tutta la notte, su un ponte, in pieno centro, ci sono ancora delle tracce, lì, sulla pietra: una sera te ne stai andando in giro senza meta, vedi una ragazza china in avanti, proprio sull’acqua, ti avvicini, così, per fare, e lei si volta e dice: il mio nome è mama, non dirmi il tuo, e tu non glielo dici, le chiedi: dove andiamo? E lei: dove vuoi andare? Restiamo qui, no? E tu ci resti, finché non fa giorno e lei se ne va, e tutta la notte continui a chiederle: chi sei? Dove abiti? Cosa fai? Dove lavori? Quando ci rivediamo? E lei dice, sporgendosi sull’acqua: non mi allontano mai, vado da una sponda all’altra, da un ponte all’altro, risalgo il canale e torno al fiume, guardo i barconi, le chiuse, scruto il fondo dell’acqua, io posso parlare solo sui ponti o lungo le rive , e solo lì posso andare, e non ci lasciamo più finche non fa giorno, non è il suo nome vero e io non le ho detto il mio, nessuno saprà mai chi ha amato chi, una notte, sdraiati su un ponte, allora, durante il giorno, ho scritto sui muri: mama ti amo, mama ti amo, su tutti i muri, di modo che non potesse non vederlo….