Vorrei, giuro vorrei davvero non fosse così. Vorrei poter dire quanto amo la mia città, quanto mi rende sicura, quanto non la cambierei mai. Quanto mi faccia sentire a casa. Ma io non sono nata qui. Anzi, io non sono di qui. Vorrei avere un parco, un bar, un posto nella mia città dove so di trovare facce amiche senza doverle cercare. Vorrei poter dire che da qui non me ne andrei mai, perché è qui che sento di avere u radici ca tieni. Ma non posso, e mi sento in colpa per questo. Milano mi fa fare fatica, continuamente, e per questo la odio. Milano mi fa sentire sola. Milano mi fa sentire continuamente persa, bombardata da mille miliardi di cose da fare e da poter fare, che io poi le voglio fare perché guai a non fare tutto, devi fare tutto per sentirti perfetta dentro questo fiume che corre per prendere la metro e ti spintona per farlo che se non stai attento qualche volta rischi di rimanere fulminato nei binari. Milano non ha tempo, e io odio non avere tempo. Tum tum tum tum tum tum tum tum tum un tamburo che non si ferma mai, rintronante, sfuggente, e io corro, scappo, tum tum tum, ci sto dietro tum tum tum, nell’agenda non c’è spazio non ho tempo non c’è tempo corre scappa tum tum tum tum tum e perdo il filo e mi sembra che sia proprio lei, la mia città, che lo allontana da me, si prende gioco di me mentre io come una stupida esca tendo le mie braccia fino a quando sembra che si stiano per staccarsi, per riprenderlo quel filo ricordarmi perché sono qui, e non morire sotto il suono del tamburo tum tum tum tum tum è la città, la città, la città che mi fai scoppiare tum tum tum e poi BUUUM. Sto diventando sorda. C’era una volta sotto le coperte una mamma che raccontava una storia alla sua bambina. Sapeva di cornetti al cioccolato appena sfornati e ricoperti di zucchero a velo. Parlava di grandi speranze, di principi che salvano principesse, di amici che muoiono per gli amici. C’era una volta una bambina che ascoltava, e annusava l’odore familiare ma sempre misterioso della mamma che raccontava, e credeva alle storie che le labbra pronunciavano. La tv in sottofondo, la luce del bagno accesa, e la tapparella mezza su: ci credeva davvero. Poi si è addormentata e quando si è svegliata la mamma non c’era più, e niente storie, e freddo, e rumore, un continuo rumore, e io non ci credo più alla mamma. Sei costretta a combattere, a spezzarti i denti, a non mollare mai. Soldato! Avanti marc! Fianc sinistr! Fianc destr! Fianc dietr! Fianc rotond! Fianc in pied! Dietro guard! Scudo in alt! “Attenzione! Bombe dal cielo sulla città!” “Chi bombarda?” “Tuo fratello!” “Mio fratello?” “Smetti di sognare, soldato!”. Splash! Io odio la mia città da quando ho smesso di sognare. Ma la odio ancora di più perché mi dice vattene allora, e io non me ne vado, vattene, ti lascio andare, ma io non posso andarmene, vattene, hai mille possibilità lontano da me, ma no, non mi interessa, mamma, sei la mamma, sei lo stesso la mia mamma vero? Io voglio la mia mamma, abbracciami, non lasciarmi abbandonata.