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 Testi d'autori diversi

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MessaggioTitolo: Testi d'autori diversi   Testi d'autori diversi Icon_minitimeMar Nov 29, 2011 1:39 pm

Chiedo scusa soprattutto a Francesca: non sono riuscita a tagliare i testi, quindi ho trascritto tutte le parti che mi sono piaciute di autori diversi..


Giorgio Caproni

Constatazione
Non c'ero mai stato
m'accorsi che c'ero nato.

Il fuor di senno
“Non si passa!, quasi urlava. E teneva - ritto in mezzo alla strada -le braccia aperte, quasi bastasse quella barriera a bloccare l'irrompere -fulmineo- della sera.

Lo spatriato
Lo hanno portato via dal luogo della sua lingua. Lo hanno scaricato male in terra straniera. Ora, non sa più dove sia la sua tribù. E perduto. Chiede. Brancola. Urla.
Peggio che se fosse muto.

Indicazione sicura, o: Bontà della guida
Segua la guida, punto per punto. Quando avrà raggiunto il luogo dov'è segnato
l'albergo (è il migliore albergo esistente) vedrà che assolutamente lei non avrà trovato
- vada tranquillo- niente.
La guida, non mente.

Biglietto lasciato prima di non andar via
Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai.

Allegria
Faceva freddo. Il vento mi tagliava le dita. Ero senza fiato.
Non ero stato mai più contento.

Preghiera
Anima mia, leggera
va' a Livorno, to prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa' un giro; e, se n'hai il tempo, perlustra e scruta, e scrivi se per caso Anna Picchi è ancor viva tra i vivi.
Proprio quest'oggi torno, deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta di me, la camicetta ricorderai, e il rubino di sangue, sul serpentino d'oro che lei portava sul petto, dove s'appannava.
Anima mia, sii brava
e va' in cerca di lei.
Tu sai cosa darei se la incontratti per strada.





Ultima preghiera
Anima mia, fà in fretta. Ti presto la bicicletta, ma corri. E con la gente (ti prego, sii prudente) non ti fermare a parlare smettendo di pedalare. Arriverai a Livorno, vedrai, prima di giorno. Non ci sarà nessuno ancora, ma uno per uno guarda ci esce da ogni portone, e aspetta (mentre odora di pesce e di notte il selciato) la figurina netta,
nel buio, volta al mercato. Io so che non potrà tardare oltre quel primo albeggiare.
Pedala, vola. E bada (un nulla potrebbe bastare) di non lasciarti sviare da un'altra, sulla stessa strada. Porterà uno scialletto nero, e una gonna verde.Terrà stretto sul petto il borsellino, e d'erbe già sapendo e di mare rinfrescato il mattino,non ti potrai sbagliare vedendola attraversare. Seguila prudentemente, allora, e con la mente
all'erta. E, circospetta, buttata la sigaretta,accòstati a lei soltanto, anima, quando il mio pianto sentirai che di piombo è diventato in fondo al mio cuore lontano.
Anche se io, così vecchio, non potrò darti mano, tu mormorale all'orecchio (più lieve del mio sospiro, messole un braccio in giro alla vita) in un soffio ciò ch'io e il mio rimorso, pur parlassimo piano, non le potremmo mai dire senza vederla arrossire.

Dino Buzzati, “Un amore”
Laggiù era la Milano da cui veniva Laide. Le case dei ballatoi col tanfo di gatto, coi vasi fioriti di maggio e le mutande appese e la voce della giovane che canta con abbandono e la lite orrenda fra lui e lei con parole che ripetere sarebbe vergogna, il sole batte sul giardino nobiliare riscaldando un poco le mura giallastre della casa con gli stemmi, chiama lo straccivendolo al mattino che si avvicina a poco a poco e poi è qui di sotto e mentre si pensa è già lontano, il cigolio del tram alla curva, i pozzi condominiali dei cortili lucidi di pioggia, neri, vitrei, col giradischi al settimo piano che abbandonato fa taa-taa-taa perché lei è rovesciata sul divano e lui la tiene e ansima, ore undici e mezzo del mattino al termine del mercato dei grani verrà il signor Marsigliani aveva detto una maschietta bionda per favore, il camioncino scarica i pacchi di bobine, stavolta il boss è nero, Dio solo sa dove collocare questo grisbi, basta tu voglia cara cosa fai? La cameriera? Ecco il mio numero se credi, ma una cosa guarda: la pulizia mi raccomando non importano i profumi ma il sapone e il dentifriccio si, quei tipi che ciondolano nel sottopassaggio Carminati lo sai che mancano dell'ombra? La porta cigol`no mamma sono stata dalla Nora a sentir dischi e parla e parla ho fatto tardi, tremila per sera più la vendita dei fiori più gli incerti mi capisci, non farai qui da me la schizzinosa, tutto sta ad agganciarli certi vecchietti che se li scuoti fanno din din da tanto son pieni di marenghi la Milka ne ha pelato uno quest'autunno ch'era uno spettacolo da tanto ributtante ma ci ha rimediato la mezza pelliccia di visone l'hai vista no?Quel ronzio dell'ascensore su e giù, lui le prende il mento fra due dita lo scuote con rabbia sei sette volte e poi la tiene e poi la scuote ancora lei lo guarda spaventata e adesso poche storie bellezza tu mi sganci venti deca uno sull'altro e se ti provi un'altra volta ti faremo sistemare che conciata così non farai più neanche una marchetta da cento, chiaro? (..)

Si ricordò che una notte a Milano, sarà stato verso le due, era stato svegliato da un canto ritmato e protervo, doveva essere una compagnia di ragazzi in bicicletta che andavano e venivano per il viale sempre cantando e da principio Antonio non aveva capito che cosa fosse poi riconobbe la vecchia canzone dello spazzacamino, l'aveva udita cento volte anche i contadini la cantavano in campagna dove andava da bambino, lui stesso forse l'aveva cantata in montagna e gli era parsa sempre volgare ma qulla notte gli ignoti ragazzi la strasformavano in una cosa bellissima e potente una ballata piena di rabbia e rimpianto che sorgeva dalle viscere di Milano non erano certo dei coristi educati erano dei ragaazzi del popolo che avevano fatto tardi e chissà forse erano anche ubriachi ma non si sentiva tanta era la precisione la forza la misura tanto era perfetto quello strafottente abbandono. Si, cantata in questo modo la antica triviale arguzia diventava un inno un giuramento segreto una misteriosa sfida.


Charles Baudelaire, Les fleurs du mal

da Moesta et errabunda
“Dimmi Agata, a volte non pensi di migrare,
lungi dal nero mare dell'immonda città,
laggiù, dove risplende cerulo un altro mare,
terso e profondo come una verginità? (..)”
Dimmi, Agata, a volte non pensi di migrare?
Portami via, vagone! Rapiscimi, vascello!
Qui è intriso di lacrime il fango della via!
Non suona, triste Agata, nel tuo cuore l'appello:
“Dai rimorsi, dai crimini, dalle gravezze, via,
portami via, vagone, rapiscimi, vascello?”

da La vecchierelle
Spesso per trivi e vicoli di vecchie capitali,
dove l'orrore stesso si cangia in incantesimo,
io vò seguendo, docile ai miei estri fatali,
creature decrepite dalle grazie inattese.

A passi brevi trottano come fantocci imbelli,
o si van trascinando come bestie colpite,
o controvoglia ballano, poveri campanelli
scossi da un empio demone: pure, così sfinite,

ci guardan con pupille pungenti come aghi,
brillanti come pozze d'acqua nottura, chiare
pupille di bambina che ride a quanti vaghi
spettacoli di luce la san meravigliare.

Ci avete mai badato che, su per giù, son strette
certe bare di vecchia come quelle d'un bimbo?

Quante mai ne ho spiate, vecchierelle siffatte!
Fra l'altre una, nell'ora quando il sole declina,
lasciando in cielo aperte mille piaghe scarlatte,
in disparte, pensosa, stava una panchina,
attenta ad un concerto, un di quelli che fanno
di marziali oricalchi risonare i giardini,
e nell'oro esaltante del crepuscolo danno
non so che baldo fremito al cuor dei cittadini.

Fiera, impettita ancora, e convinta, sorbiva
con ebbre orecchie il canto bellicoso e sonoro,
e a volte la pupilla di vecchia aquila apriva,
cinta il marmoreo capo d'un ideale alloro.

Così voi camminate per il caos brulicante
della grande città, stoiche, con occhi asciutti,
madri dal cuor che sanguina, vecchie sgualdrine, sante,
voi il cui nome fu un giorno sulla bocca di tutti.

Nessuno sa chi siete, nessuno sa che foste
la bellezza, la gloria! Per prenderne sollazzo,
un ubriaco v'insulta con salaci proposte;
dietro, ignobile e vile, vi sgambetta un ragazzo.

Vergognose d'esistere, tremanti e rattrappite
ombre, senza un saluto, curve, rasente i muri,
seguendo i vostri strani destini, voi fuggite,
o rimasugli umani per l'eterno maturi.

Ma io che da lontano veglio teneramente
i vostri passi incerti, con lo sguardo inquieto
d'un padre, io so cavare, in modo sorprendente,
da voi inconsapevoli un piacere segreto. (...)


A una passante (Charles Baudelaire)
Urlava attorno a me la via, senza pietà.
Alta, snella, in gramaglie, sovranamente triste,
con sontuosa mano sollevando le liste
dell'abito, guardino di ondosi falbalà,

e con gamba di statua, passò una donna: vidi,
bevvi nell'occhio suo, con spasimi d'insano,
come in un cielo livido, gravido d'uragano,
dolcezze ammalianti e piaceri omicidi.

Fu un lampo... poi la notte. Fuggitiva beltà,
nel cui sguardo, all'istante, l'anima mia risorse,
non ti vedrò più dunque che nell'eternità?
Altrove, e via di qui! Troppo tardi! Mai, forse!
Poiché corriamo entrambi a ignoto e opposto sito,
o tu che avrei amato, o tu che l'hai capito!

Agota Kristof, da Trilogia della città di K.
Il grande quaderno



Esercizio di cecità e sordità
Uno di noi fa il cieco, l'altro fa il sordo. Per allenarsi, all'inizio, il cieco si lega un fazzoletto nero di Nonna davanti agli occhi, il sordo si tappa le orecchie con dell'erba. Il fazzoletto puzza come Nonna.
Ci diamo la mano, andiamo a passeggio durante gli allarmi, quando la gente si nasconde nelle cantine e le strade sono deserte.
Il sordo descrive quello che vede:
- La strada è lunga e dritta. E' fiancheggiata da case basse, a un solo piano. Sono di colore bianco, grigio, rosa, giallo e blu.
Alla fine della strada si vede un parco con degli alberi e una fontana. Il cielo è azzurro, con qualche nuvola bianca. Si vedono degli aerei. Cinque bombardieri. Volano bassi.
Il cieco parla lentamente, perché il sordo possa leggere sulle sue labbra.
- Sento gli aerei. Producono un rumore irregolare e profondo. Il loro motore fatica. Sono carichi di bombe. Ora sono passati. Sento di nuovo gli uccelli. Per il resto tutto è silenzioso.
Il sordo legge sulle labbra del cieco e risponde:
-Si, la strada è vuota.
Il cieco ddice:
- Non per molto. Sento dei passi che si avvicinano nella strada laterale, a sinistra.
Il sordo dice:
-Hai ragione. Ecco un uomo.
Il cieco domanda:
-Com'è?
Il sordo risponde:
- Come tutti gli altri. Povero, vecchio.
Il cieco dice:
-Lo so. Riconosco il passo dei vecchi. Sento anche che è a piedi nudi, quindi è povero.
- I suoi occhi?
- Non li vedo, guarda per terra.
(...)
Il cieco dice:
-Sento le sirene. E' la fine dell'allarme. Rientriamo.
Dopo un po', col tempo, non abbiamo più bisogno di un fazzoletto per gli occhi, né erba per le orecchie. Chi fa il cieco volta semplicemente lo sguardo verso l'interno, il sordo chiude le orecchie a tutti i rumori


Esercizio di accattonaggio
Indossiamo abiti sporchi e laceri, ci togliamo le scape, ci sporchiamo la faccia e le mani. Andiamo in strada. Ci fermiamo, aspettiamo.
Un ufficiale si ferma. Dice qualcosa in una lingua che non capiamo. Ci fa delle domande. Non rispondiamo; restiamo immobili. Allora fruga nelle tasche, posa una moneta e un pezzetto di cioccolato sul nostro palmo lercio e se ne va scuotendo la testa.
Continuiamo ad aspettare.
Una donna passa. Tendiamo la mano. Lei dice:
-Poveri bambini. Non ho niente da darvi.
Ci accarezza i capelli.
Diciamo:
-Grazie.
Un'altra donna ci dà due mele, un'altra dei biscotti.
Una donna passa. Tendiamo la mano, lei si ferma e dice:
-Non vi vergognate a chiedere l'elemosina? Venite da me, ci sono dei lavoretti facili per voi. Tagliare la legna, per esempio, o lucidare la terrazza. Siete abbastanza grandi e forti. Dopo, se lavorate bene, vi darò della minestra e del pane.
Rispondiamo:
- Non abbiamo voglia di lavorare per lei, signora, Non abbiamo voglia di mangiare la sua minestra né il suo pane. Non abbiamo fame.
Lei domanda:
- E allora perché chiedete l'elemosina?
- Per sapere che effetto fa e per osservare la reazione della gente.
Andandosene grida:
-Piccole, sporche canaglie! Screanzati, fare queste cose!
Rientrando, gettiamo nell'erba alta che costeggia la strada le mele, i biscotti, il cioccolato e anche le monete.
La carezza sui capelli è impossibile gettarla.

Gli altri bambini
Molti di questi bambini sono sistemati da persone che non conoscevano prima. Devono lavorare duramente e le persone che li tengono non sono sempre gentili con loro.
I bambini più grandi attaccano spesso quelli piccoli. Li derubano di tutto quello che hanno in tasca e a volte anche dei vestiti. Li picchiano anche, soprattutto quelli che vengono da fuori. I piccoli di qui sono protetti dall madri, e non escono mai da soli.
Noi non siamo protetti da nessuno. Così impariamo a difenderci dai grandi.
Fabbrichiamo delle armi: affiliamo delle pietre, riempiamo delle calze di sabbia e di ghiaia. Abbiamo anche un rasoio, trovato nel baule della soffitta. Basta che tiriamo fuori il nostro rasoio perché i grandi scappino.
Un giorno di gran caldo siamo seduti di fianco alla fontana dove qualli che non hanno un pozzo vengono a prendere l'acqua. LÎ vicino i ragazzi più grandi di noi sono coricati nell'erba. Fa fresco qui, sotto gli alberi, vicino all'acqua che scorre senza sosta.
Labbro-leporino arriva con un secchio che posa sotto la fontata da cui esce un filo d'acqua. Aspetta che il suo secchio sia riempito.
Quando il secchio è pieno, uno dei ragazzi si alza e va a sputarci dentro. Labbro-leporino vuota il secchio, lo sciacqua e lo rimette sotto la fontana.
Il secchio è di nuovo pieno, un altro ragazzo si alza e ci sputa dentro. Labbro-leporino rimette il secchio sciacquato sotto la fontata. Non aspetta più che il secchio sia pieno, lo riempie a metà e svelta, cerca di scappare.
Uno dei ragazzi le corre dietro, l'acchiappa per il braccio e sputa nel secchio.
Labbro-leporino dice:
-Insomma , basta! Devo riportare dell'acqua pulita e potabile.
Il ragazzo dice:
- Ma è acqua pulita. Ci ho soltanto sputato dentro. Non vorrai mica dire che il mio sputo è sporco! Il mio sputo è più pulito di tutto quello che c'è da voi.
Labbro-leporino vuota il suo secchio, piange.
Il ragazzo si sbottona i pantaloni e dice:
- Succhia! Se me lo succhi ti lasceremo riempire il secchio.
Labbro leporino si accovaccia. Il ragazzo indietreggia:
- Credi che metta davvero il mio cazzo nella tua bocca schifosa?
Sferra un calcio al petto di Labbro-leporino e si riabbottona i pantaloni.
Uno dei ragazzi dice:
-Venite, andiamo a divertirci da un'altra parte.

Fabio Pusterla
“Corpo stellare”

Non un re longobardo incarognito
seminatore di ingiustizia. Alboino
era un volpino screziato
uno spirito libero e gentile
sessualmente insaziabile.
Fingeva di stare in un recinto verde
proprio in fondo alla strada,
ma noi lo si sapeva, recitava:
era in grado di uscire
lesto, tranquillamente.
Anche alla fine, cieco,
vagava per le vie,
insidiava cagnette nei villini dei ricchi.
Il mondo era più semplice, modesto, pareva quasi ci fosse posto per tutti.


Paul Auster, “La città di vetro”
New York era uno spazio inesauribile, un labirinto di passi interminabili, e per quanto lontano si spingesse, per quanto a fondo arrivasse a conoscerne i quartieri e le strade, la città lo faceva sempre sentire smarrito. Smarrito non solo dentro la città, ma anche dentro se stesso. Ogni volta che faceva una passeggiata, era come se si lasciasse alle spalle la propria persona e, arrendendosi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che guarda, riusciva a sottrarsi all'obbligo di pensare, il che, più di ogni altra cosa, gli concedeva un po' di pace, un salutare vuoto interiore. Il mondo era là fuorei, gli stava davanti e intorno, e mutava di continuo a una velocità tale da non concedergli di soffermarsi a lungo su niente. L'essenziale era il moto, l'atto di mettere un piede davanti all'altro e lasciarsi trascinare dalla corrente del proprio corpo. A furia di vagare senza meta, tutti i posti gli sembravano uguali, e non dava più importanza dove si trovava. Durante le sue passeggiate migliori, riusciva ad avere la sensazione di non esseere in nessun posto. E, in fondo, Quinn non chiedeva altro che questo: di non essere in nessun posto.
(..)
Il vecchio girovagava per le strade del circondario, avanzando lentamente, spesso muovendo solo pochi passi, per poi fermarsi, ripartire e feremarsi di nuovo,come se ogni passo dovesse essere soppesato e misurato. Non aveva mai l'aria di essere diretto in qualche posto preciso, né di sapere dove si trovasse. Eppure, come seguendo un disegno consapevole, si limitava a una zona strettamente circoscritta. Mentre camminava non alzava lo sguardo da terra. I suoi occhi restavano permanentemente incollati al suolo, come se stesse cercando qualcosa. Di fatto, ogni tanto si chinava, raccoglieva qualche oggetto da terra, e lo esaminava attentamente, rigirandoselo più volte tra le mani. Ogni tanto lo ributtava sul marciapiede, ma più sovente, apriva la sua sacca e vi deponeva delicatamente il repertorio. Poi, frugando in una delle tasche del suo cappotto, ne estraeva un quaderno rosso e per un paio di minuti vi scriveva delle annotazioni con grande concentrazione. Poi raccoglieva la sacca e proseguiva nella sua perlustrazione.

Aldo Palazzeschi
“La passeggiata”
(potrebbe essere anche una scena a due).

- Andiamo?
- Andiamo pure.
All'arte del ricamo,
fabbrica passamanerie,
ordinazioni, forniture.
Sorelle Purtarè.
Alla città di Parigi.
Modes, nouveauté.
Benedetto Paradiso
successore di Michele Salvato,
gabinetto fondato nell'anno 1843.
avviso importante alle signore !
La beltà del viso,
seno d'avorio,
pelle di velluto.
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole.
tumulto a sinistra, tumulto a destra.
Il gran Sultano di Turchia ti aspetta.
La pasticca di Re Sole.
Si getta dalla finestra per amore.
Insuperabile sapone alla violetta.
Orologeria di precisione.
93
Lotteria del milione.
Antica trattoria "La pace",
con giardino,
fiaschetteria,
mescita di vino.
Loffredo e Rondinella
primaria casa di stoffe,
panni, lane e flanella.
Oggetti d'arte,
quadri, antichità,
26
26 A.
Corso Napoleone Bonaparte.
Cartoleria del progresso.
Si cercano abili lavoranti sarte.
Anemia !
Fallimento!
Grande liquidazione!
Ribassi del 90 %
Libero ingresso.
Hotel Risorgimento
e d'Ungheria.
Lastrucci e Garfagnoni,
impianti moderni di riscaldamento:
caloriferi, termosifoni.
Via Fratelli Bandiera
già via del Crocefisso.
Saldo
fine stagione,
prezzo fisso.
Occasione, occasione!
Diodato Postiglione
scatole per tutti gli usi di cartone.
Inaudita crudeltà!
Cioccolato Talmone.
Il più ricercato biscotto.
Duretto e Tenerini
via della Carità.
2. 17. 40. 25. 88.
Cinematografo Splendor,
il ventre di Berlino,
viaggio nel Giappone,
l?onomastico di Stefanino.
Attrazione ! Attrazione!
Cerotto Manganello,
infallibile contro i reumatismi,
l?ultima scoperta della scienza !
L?Addolorata al Fiumicello,
associazione di beneficenza.
Luigi Cacace
deposito di lampadine.
Legna, carbone, brace,
segatura,
grandi e piccole fascine,
fascinotte,
forme, pine.
Professor Nicola Frescura:
state all?erta giovinotti !
Camicie su misura.
Fratelli Buffi,
lubrificanti per macchine e stantuffi.
Il mondo in miniatura.
Lavanderia,
Fumista,
Tipografia,
Parrucchiere,
Fioraio,
Libreria,
Modista.
Elettricità e cancelleria.
L?amor patrio
antico caffè.
Affittasi quartiere,
rivolgersi al portiere
dalle 2 alle 3.
Adamo Sensi
studio d?avvocato,
dottoressa in medicina
primo piano,
Antico forno,
Rosticcere e friggitore.
Utensili per cucina,
Ferrarecce.
Mesticatore.
Teatro Comunale
Manon di Massenet,
gran serata in onore
di Michelina Proches.
Politeama Manzoni,
il teatro dei cani,
ultima matinée.
Si fanno riparazioni in caloches.
Cordonnier.
Deposito di legnami.
Teatro Goldoni
i figli di nessuno,
serata popolare.
Tutti dai fratelli Bocconi !
Non ve la lasciate scappare !
29
31
Bar la stella polare.
Assunta Chiodaroli
levatrice,
Parisina Sudori
rammendatrice.
L?arte di non far figlioli.
Gabriele Pagnotta
strumenti musicali.
Narciso Gonfalone
tessuti di seta e di cotone.
Ulderigo Bizzarro
fabbricante di confetti per nozze.
Giacinto Pupi,
tinozze e semicupi.
Pasquale Bottega fu Pietro,
calzature...
- Torniamo indietro?
- Torniamo pure.
 
Gianrico Carofiglio
“Il passato è una terra straniera”.

Era uscita con tre sue amiche, senza i ragazzi, come capitava spesso. Erano andate a bere e a fare due chiacchere in un locale del centro e verso le undici e mezzo lei e un'altra se ne erano andate. Il giorno dopo avevano lezione all'università e non volevano fare tardi. Avevano fatto un pezzo di strada insieme e poi si erano separate. Ognuna verso casa sua.
No, non avevano mai avuto problemi a tornre da sole la sera. No, non avevano mai letto sui giornali, o sentito alla televisione di episodi come quello.
Sulla fase dell'aggressione Caterina era stata più confusa, ovviamente. Aveva lasciato la sua amica da cinque minuti o poco meno. Camminava a passo normale. Non aveva notato niente o nessuno in particolare. A un certo punto aveva sentito un colpo fortissimo dietro la testa. Duro, come un pugno o un oggetto rigido. Probabilmente aveva perso i sensi per qualche istante. Quando si era ripresa era nell'androne di un palazzo vecchio. Lui l'aveva messa in ginocchio. C'era cattivo odore, di sporcizia, di cibo sfatto, di pipi' di gatto, si ricordava. E si ricordava la voce di quello. Era calma e metallica. Sembrava perfettamente padrone di sé, quello. Le aveva detto di fae delle cose; le aveva detto di tenere gli occhi chiusi e bassi, e di non provare nemmeno a guardarlo in faccia. Le aveva detto che se disobbediva l'avrebbe ammazzata con le mani, lì. Ma tutto con calma, come se stesse facendo un lavoro cui era abituato E lei aveva obbedito.
Alla fine le aveva dato un altro pugno. Molto forte, in faccia. Poi le aveva detto di non fare nessun rumore, di non muoversi e di contare fino a trecento. Solo allora avrebbe potuto rialzarsi e andarsene via. Aveva detto che voleva sentirla cominciare a contare ad alta voce. Lei aveva obbedito, e aveva contato fino a trecento, a voce alta, in quell'androne buio, fetido e deserto.
No, non sapeva fornire una descrizione. Le sembrava fosse alto, ma non era in grado di essere più precisa.
E la faccia non l'aveva vista, nemmeno di sfuggita.
Era in grado aleno di riconoscere la voce se l'avesse risentita?
La voce si, disse la ragazza. Quella non l'avrebbe mai più dimenticata, per sempre.






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