Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parole.
Vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica.
Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci scorrono accanto. Tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.
Da questa città che nessuno di voi conosce, mando notizie, ma non bastano mai. Ciascuno di voi frequenta o conosce altri paesi; eppure in questo che dico nessuno potrà mai abitare tranne io. Questa città esiste e che possa darne precise notizie c’è uno solo.
Una città intera, grande, grandissima, con quartieri vecchi e nuovi, labirinti interminabili di strade, monumenti e ruderi che si perdono nelle notti dei millenni, parchi, dove ogni pietra, ogni finestra, ogni bottega significano un ricordo, un sentimento, un’ora potente della vita. Di città come la mia ce ne sono al mondo migliaia; e spesso, posso ammetterlo, in questi agglomerati urbani abita uno solo, come appunto nel caso che personalmente mi riguarda. Ma in genere è come se queste città non esistessero.
Nella immensa città che nessuno di voi conosce ne mai conoscerà, nella città fatta della mia stessa vita (parchi, palazzi, addii, ospedali, primavere,portici, natali, statue, stazioni ferroviarie, amori) Dio, come sono solo.
Volta per volta le case s’alzano e cadono, crollano, sono ingrandite, son demolite, distrutte, e al loro posto c’è un campo aperto, o una fabbrica, o una strada di circonvallazione.
Da vecchie pietre costruzioni nuove, da vecchi legnami nuovi fuochi, da vecchi fuochi cenere, e dalla cenere la terra che è già carne, pelame e feci, ossa d’uomo e di bestia, stelo di grano e foglia.
Le case vivono e muoiono: c’è un tempo per costruire e un tempo per vivere e per generare, e un tempo perché il vento rompa il vetro sconnesso, e scuota il rivestimento di legno lungo il quale trotta il topo, e scuota il logoro arazzo col suo tacito motto ricamato.
Da Dino Buzzati: “Inviti superflui” – Dino Buzzati: “La città personale” - Thomas Eliot “ Quattro Quartetti”
Valentina Bologna