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 Collage di brani tratti da "Alla fine del Millennio" di Yehoshua

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MessaggioTitolo: Collage di brani tratti da "Alla fine del Millennio" di Yehoshua   Collage di brani tratti da "Alla fine del Millennio" di Yehoshua Icon_minitimeMer Nov 30, 2011 8:25 pm


Alla fine del Millennio – Yehoshua
(un ebreo e un musulmano sbarcano in Francia per recarsi a Parigi)


L’alba sorge dolcemente e il continente europeo risucchia gli ultimi brandelli di nebbia, incantando i passeggeri dell’antico vascello di guardia costiera con il verde intenso delle sponde della Senna che sfocia pigramente nell’oceano. Uccelli piccoli e sconosciuti, come se fossero stati in attesa solo di questa nave. Tutto ciò che pareva incomprensibile e terrificante durante la notte è divenuto luminoso e benevolo alla luce del giorno, che si fa via via più intensa.
Parigi, ripetono [una coppia di francesi] più volte con aria sognante e voce suadente, indicando con sacro timore verso est, come se laggiù si trovasse una sorta di Gerusalemme o di Mecca. Non solo conoscono la distanza da Parigi, anche se non vi si sono mai recati, ma è visibile la gioia d’aver avuto l’opportunità di pronunciare, nel loro spedito idioma, il nome di un luogo il cui fascino colpisce anche chi non vi metterà mai piede.
Le vie di Rouen sono strette e tortuose, ma anche le case appaiono piccole e dismesse agli occhi dei nordafricani, stupiti dalla nudità dei muri grigi, senza un accenno di colore o di intonaco, e dall’assenza di aiuole di fiori e di alberi; solo di tanto intanto si soffermano dinanzi a una spessa e scura trave di legno, posta sopra una porticina per conferire alla misera casa un barlume di forza e di splendore.
La chiesa di Rouen appare squallida e piccola nella sua tetra severità. Un odore agrodolce di incenso alleggia nell’aria, misto all’afrore dei credenti in preghiera, che anche in questa calda giornata estiva indossano castigati abiti scuri.
In questa dolce ora serale, il padrone della nave e il figlioletto del rabbino avanzano verso la città lungo una strada cosi ampia e dritta da sembrare un vero viale, che li conduce, dopo un lungo cammino, a una sorta di enorme spianata quadrata. Ben Atar chiede aiuto al ragazzino per sistemare al centro di quello spiazzo una piccola colonnina di pietre che servirà da segnale per il ritorno, se dio non voglia, fossero costretti a tornare da soli. Quindi proseguono nella stessa direzione verso est, tra orti piccoli e rettangolari e siepi accuratamente tagliate, finché giungono a una vasca d’acqua antistante un altro arco, più piccolo e basso, forse una ridotta imitazione del precedente. Se i due viaggiatori si voltassero noterebbero, per fino in quest’ora crepuscolare, la linea retta tesa tra i due archi. Ma i loro occhi guardano avanti, verso i piccoli lumi che si muovono lungo il fiume in direzione della città e verso i primi visi dei vocianti parigini, dai lineamenti affilati, gli occhi penetranti, la punta del cranio pelata e la barba acconciata alla maniera degli attori.
Ora l’isola risplende d’una moltitudine di luci, quasi che ogni abitante, desideroso di farsi notare, recasse con se il proprio lume. In questo confuso e ciarliero andirivieni di uomini e donne, il piccolo Elbaz perde improvvisamente la propria sicurezza, e la sua mano, che in mezzo all’oceano stringeva spavalda l’albero maestro, afferra ora con spavento il mantello di Ben Atar. Ma nessuno, nonostante l’insolita apparenza dell’abito di Ben Atar presta attenzione ai due stranieri. Come se non stessero camminando nel cuore di uno sperduto borgo della selvaggia Europa, ma in una vera metropoli, quale Cordoba o Granada in Andalusia, dove gli innumerevoli visitatori stranieri che giungono ogni giorno non risvegliano particolare interesse.
Non solo chi sta dietro una bancarella di merci cerca di richiamare l’attenzione di possibili clienti, ma persino coloro che passeggiano lungo il fiume si scambiano spesso frasi frettolose, rivolgendosi talvolta anche ai due stranieri. Come se la pronuncia di alcune parole nella loro lingua musicale fosse di per se fonte di delizia e di benedizione e valesse la pena di parlare solo per non privarsi di un piacere.
Senza ulteriore riflessione Ben-Atar si affretta a seguire i passi di un uomo perché, se quest’uomo è davvero ebreo, è probabile che non si fermi in una delle taverne, di cui luci fioche balenano tutt’intorno, ma faccia subito ritorno a casa, quasi certamente situata nel quartiere dove vivono altri ebrei, perché è inconcepibile che un giudeo fedele al proprio credo non viva in prossimità dei suoi corregionali.
Si ritrovano cosi ben presto ne cuore della città, stipata di case e di tortuosi vicoli ai cui angoli giocano a dadi alcune guardie dalle uniformi scure, chiacchierando senza sosta nella loro bella lingua dalle finestre dei seminterrati salgono profumi di pietanze cucinate per il pasto serale, quasi che i due viaggiatori non fossero giunti nel cuore di Parigi ma nel suo stomaco.
Nonostante l’ora notturna, Parigi, adagiata tra le due sponde del fiume, ancora non riposa. Persino qui, sulla sponda meridionale deserta, si sentono i toni melodiosi, teneri e ovattati di una conversazione tra un uomo e una donna; apparentemente per loro questa non è un’ora troppo tarda per amarsi.




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