La città che vorrei ha il clima di Roma, le baguette di Parigi, le mozzarelle di Taranto e i negozi underground di Londra.
Ci sono i musicisti rom di Genova che suonano per strada, con in tasca i mazzolini di mughetti profumati che ti vendono le vecchine per le strade di Kiev.
Ha la piazza sul mare di Lisbona e le piazze dei templi di Ubud dove i ragazzi si accovacciano sui muretti a mangiare, e il profumo di incensi, polvere e olio di cocco ti riempie le narici.
Nelle case, gli armadi di mia nonna odorosi di naftalina e pieni di segreti. Cantine tante.
I suoni dei vicoli affollati di Napoli a Natale e rumori sommessi sui tram di Praga, dove la gente ti fa scendere e aspetta ordinata prima di salire, anche se fa freddo. E’ piena di parchi, fra i quali compaiono anche i giardini di Palermo pieni di magnolie secolari; e tante fontane come a Nizza.
Si cammina fra i portici, l’apertura e i sorrisi di Bologna, compresa la sua università e i senzatetto che una decina di anni fa dormivano la notte sui marciapiedi di via Zamboni, proprio accanto al teatro comunale, in via del Guasto; e quando ci passavi in quella via stavi attento a non svegliarli e ti sentivi protetto come se stessi passando in una casa a cielo aperto, piena di racconti.
Nella città che vorrei ci sono i mercati di Istanbul e di Addis Ababa, e le montagne innevate che circondano Torino.