from Martin Crimp’s “The City”
traduzione dall’inglese - Elena Codecà
Quando ero giovane – ben più giovane di ora – una persona diversa potreste addirittura dire .. credevo fermamente che ci fosse una città dentro di me – una città enorme e varia, piena di piazze verdi, negozi e chiese, strade segrete e porte nascoste che portavano a scale che salivano verso stanze piene di luce dove c’erano gocce di pioggia alle finestre e dove in ogni singola goccia la città si poteva vedere ribaltata. C’erano zone industriali dove treni sopraelevati correvano attraverso le finestre di fabbriche e centri di conferenza. C’erano scuole dove, in una pausa di traffico, si potevano sentire i bambini giocare.
Le stagioni nella città erano distinte: notti calde d’estate quando ognuno dorme con la finestra aperta oppure se ne sta seduto sul balcone in mutande, bevendo birra dal frigorifero – ed inverni, dalle mattine molto fredde, quando la neve giace nel cortile e la si mostra in televisione e la neve in televisione è la stessa neve che c’è fuori nelle strade, spalata ed ammucchiata ai lati per permettere agli abitanti di andare al lavoro.
Ed ero convinto che in questa città avrei trovato una inesauribile fonte di personaggi e storie per i miei racconti. Ero convinto che per essere uno scrittore avrei semplicemente dovuto andare in questa città – in una parte di me – e scrivere quello che scoprivo lì. Sapevo che sarebbe stato difficile raggiungere questa città. Non sarebbe stato come andare in aeroplano a Marrakech, o a Lisbona. Sapevo che il viaggio poteva richiedere giorni o addirittura anni, molto probabilmente. Ma sapevo che se avessi potuto trovare la vita nella mia città e se fossi stato capace di descrivere la vita, le storie ed i personaggi della vita, allora io – questo era quello che immaginavo – sarei stato vivo.
E raggiunsi la mia città. Si. Oh si. Ma quando la raggiunsi, scoprii che era stata distrutta. Le case erano state distrutte ed anche i negozi. Le chiese erano state demolite insieme ai campanili. I balconi che c’erano era caduti giù sul marciapiede. Non c’erano bambini nei parco giochi, solo linee colorate. Cercavo gli abitanti per scrivere di loro, ma non c’erano abitanti, solo polvere. Cercai la gente ancora aggrappata alla vita – quali storie potevano raccontare ! – ma anche qui – nelle fognature, negli scantinati – nel sistema sotterraneo delle metropolitane – non c’era niente – nessuno – solo polvere. E questa polvere grigia, come la cenere di una sigaretta, era cosi sottile che entrò nella mia penna e fermò l’inchiostro che cercava di raggiungere la pagina.