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 la città che vorrei: Il barbone

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Elena




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MessaggioTitolo: la città che vorrei: Il barbone   la città che vorrei: Il barbone Icon_minitimeDom Nov 27, 2011 5:16 pm

E così, eccomi qui, arriva il freddo, arriva la notte e mi devo affrettare, lasciare questa panchina. Tra poco il parco chiude e dovrò andare altrove per sedermi, stendermi un po’, dormire. La mia casa è la città ed è anche tutta qui, con me, in queste due borse di plastica piene delle cose che ho trovato qua e là, rovistando nei cestini dell’immondizia.
Lo so, non sono molto pulito, ma in città non ci sono più tante fontanelle dell’acqua e lavarsi è diventato difficile e poi d’inverno è così gelida che nemmeno vien voglia di toccarla. La gente quando mi vede arrivare si allontana, allunga il passo ed allarga un po’ a destra o a sinistra, per evitarmi. Sono un po’ sporco e i mei abiti forse puzzano e non sono nemmeno molto belli, sdruciti ed un po’ strappati, dai colori scombinati. Ma non ne ho mica colpa io. No ho scelto io di essere un barbone, mi ci sono trovato dentro così, è stato un attimo, un inciampo, una fatalità. Barbone, clochard, senzatetto, senzacasa, così mi chiamano: da tre anni vivo per strada. I miei amici sono quelli come me, compagni di una vita in cui ogni giorno preghi perché qualcosa cambi e con nostalgia, speri che tutto possa tornare come prima, anche se questa mia vita, questa di ora, non è meno dignitosa di quella di prima.
Se gli altri, quelli che passano di qua in tutta fretta per andare al lavoro, se solo riuscissero lontanamente ad immaginare in quale inferno vivo e quali lotte quotidiane devo affrontare per sopravvivere.
Giro a piedi, tutto il giorno, con queste mie borse e le panchine del parco sono l’unico posto dove potersi fermare per riposarsi un po’. Perchè di panchine in giro per la città, mica ce ne sono molte e se non ne trovo, mi tocca sedermi per terrà, mica al bar come fanno gli altri, non mi permettono nemmeno di avvicinarmici al bar. Ed ora mi devo rimettere in cammino, si sta facendo sera. Prendere la metropolitana non è facile, ma talvolta ci riesco. Mi intrufolo dietro ad un passeggero regolare, che paga il biglietto e mi guarda di mal’occhio, ma così presto, presto, in un paio di fermate arrivò a casa, se non incappo in un controllore che mi fa scendere subito alla prima. Già a casa ... ma quale casa!?! Di sera l’unico posto un po’ sicuro, dove poter andare a dormire, al riparo da freddo e pioggia, è la Stazione Centrale. Nei centri di accoglienza non ci vado, non sai mica chi incontri li, pochi di buono che mentri dormi sono pronti a rubare quel niente che ho con me. Ma alla Stazione Centrale posso starmene tutta la notte, tanquillo, al sicuro, rannichiato in un angolo e ben al riparo dagli spiferi d’aria. Perchè la notte è lunga e fredda, specialmente d’inverno, quando arriva la neve e certe volte ti capita di addormentarti e non sai mica se al mattino ci sarai ancora. Eh no. Anche se dura, questa mia vita è pur sempre bella e non mi andrebbe molto di restare secco lì, di notte, sul marciapiede in una notte di dicembre.
Però è bello quando cade la neve, in quei giorni ci si occupa di noi: esistiamo anche per gli altri, che con il cuore in mano sono pronti a venire a salvare il barbone, che non muoia assiderato, che non fa fare bella figura alla città. Come vorrei una città che si ricordasse di me, di noi, come esseri umani e non come appartenenti alla categoria barboni. Che si ricordasse di noi non solo quando nevica e fa freddo, ma ogni giorno, d’estate come d’inverno. Come vorrei svegliarmi domani mattina, alzarmi da questo mio giaciglio di cartoni e sentirmi dire da un passante qualunque: „buon giorno, Signore”.
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