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 I. Calvino, la strada di S. Giovanni

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livia




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MessaggioTitolo: I. Calvino, la strada di S. Giovanni   I. Calvino, la strada di S. Giovanni Icon_minitimeDom Nov 27, 2011 4:41 pm

Livia (Mariangela)
Da: I. Calvino, La strada di San Giovanni: Dall’opaco
Proposta n.1


Se allora mi avessero domandato che forma ha il mondo avrei detto che è in pendenza, con dislivelli irregolari, con sporgenze e rientranze, per cui mi trovo sempre in qualche modo come su un balcone, affacciato a una balaustra, e vedo ciò che il mondo contiene disporsi alla destra e alla sinistra a diverse distanze, su altri balconi o palchi di teatro soprastanti o sottostanti, d’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole
E così anche adesso se mi chiedono che forma ha il mondo, se chiedono al me stesso che abita all’interno di me e conserva la prima impronta delle cose, devo rispondere che il mondo è disposto su tanti balconi che irregolarmente s’affacciano su un unico grande balcone che s’apre sul vuoto dell’aria, sul davanzale che è la breve striscia del mare contro il grandissimo cielo
Comincerò allora col dire che il mondo è composto di linee spezzate ed oblique, con segmenti che tendono a sporgere fuori dagli angoli d’ogni gradino, come fanno le agavi che crescono spesso sul ciglio, e con linee verticali ascendenti come le palme che fanno ombra ai giardini o terrazzi sovrastanti a quelli in cui hanno radici
E mi riferisco alle palme del tempo in cui ordinariamente erano alte le palme e basse le case
Un mondo tutto all’aperto che dà il senso d’esser chiusi stando all’aperto, in quanto il pezzo di terra di uno si affaccia sul pezzo di terra di un altro, divisi non da muri di cinta bensì di sostegno, e ognuno di noi sta nel suo, e nessuno mai esce dal suo ma è sempre sotto gli occhi degli altri,
uno spazio che è esterno anche quando è dentro un interno, gallinai conigliere traspaiono dietro le reti metalliche, chioschi pergole tettoie bersò, ogni vasca rispecchia ciò che è sopra la vasca, scale esterne collegano altane sui cui davanzali il basilico cresce in pignatte piene di terra, un paese è una pigna tutta arcate e finestre, la finestra inquadra il comò con lo specchio su cui passa una nuvola
mentre io parlo d’un mondo dove tutto si vede e non si vede al medesimo tempo, in quanto tutto spunta e nasconde e sporge e scherma, le palme si aprono e chiudono come un ventaglio sulle alberature della barche da pesca, s’alza il getto d’una manica e innaffia un campo d’invisibili anemoni, mezzo autobus svolta nella mezza curva della carrozzabile e sparisce tra le spade dell’agave,
il mio sguardo è frantumato tra piani e distanze diverse, scorre su una fascia obliqua di stuoie e vetrine di serre, tocca un campo tutto irto di spaghi e bacchette sul versante di fronte, torna a accorciarsi sul primo piano d’una foglia di nespolo che pende da un ramo qua in mezzo, passa dalla nuvola d’un olivo grigio a una nuvola bianca che naviga in cielo, poi c’è sotto i miei occhi enorme e verde di zolfo una pianta di pomodoro in un castelletto di canne, poi un piccolo tetto di coppi di là dal torrente, da cui si diparte un filare di piante di cachi, con i frutti d’un rosso giallastro che posso contare sui rami anche a questa distanza,
chiamasi “opaco”, -nel dialetto: “ubagu”,- la località dove il sole non batte, -in buona lingua, secondo una più ricercata locuzione: “a bacìo”; -mentre è detta “a solatìo”, o “aprico”, -“abrigu”, nel dialetto, -la località soleggiata.
volendo ricorrere a una metafora tratta dalla vita animale, siamo in un mondo che s’allunga e contorce come una lucertola in modo da offrire al sole il massimo della sua superficie, e divarica il ventaglio delle zampe a ventosa sul muro che riscalda, la coda che con scatti filiformi si sottrae alle impercettibili progressioni dell’ombra, tendendo a far coincidere l’aprico con l’esistenza del mondo

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