La città è una città. Solida. Liquida. Gassosa. Sopra arterie d’asfalto seziona pietra, vetro, cemento, acciaio. Sotto vene di plastica pulsano acqua, feci energia, informazioni. Intorno aria: condizionata dentro, addizionata fuori. Dappertutto un continuo viavai di corpi. Lungo strade e attraverso stanze su e giù per corridoi, ascensori e scale mobili. Seguendo queste sino in fondo ci s’inoltra nel buio. Nel buio rotto dagli squarci al neon delle stazioni. Nel buio dove treni corrono veloci. All’interno di una pausa luminosa, alcune persone aspettano il prossimo convoglio. Nessuno conosce nessuno e perciò nessuno parla. Tutti aspettano soltanto.
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Così, eccovi qua. Vediamo un po’ quanti siete : uno due tre quattro cinque sei sette otto nove dieci undici dodici tredici quattordici. Con me, quindici. Ma io non conto è come se non ci fossi.
Scommetto che vi sembra tutto normale, qua sotto: niente che non vi aspettaste di trovare non è vero? Le luci artificiali che piovono dall’alto. Le scritte pubblicitarie alle pareti. Il budello nero nel quale contate di infilarvi sotto la città. Donne e uomini. Giovani e vecchi. Attenti a non invadere un millimetro di troppo dello spazio circostante. Attenti a non incrociare neppure per un attimo lo sguardo di chi vi sta accanto. Corpi delimitati da corpi. Silenzi circondati da silenzi. Facce per lo più assenti: la solita massa anonima.
Ve ne state qui, dentro questo squarcio illuminato nel buio, e sopra di voi, oltre il neon, il cemento e la terra, bus e automobili e tram percorrono l’asfalto.
Ascoltate il vostro respiro. Ascoltatelo mentre deglutite. Prestate attenzione al vostro ventre che si alza e si abbassa. Mordetevi le labbra. Fate aderire la lingua al palato. Adesso siete in vita. Domani forse non più. Ambarabà ciccì coccò tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore….Com’è che finisce la conta? Qualcuno tra voi se lo ricorda?
Il verme meccanico sta per arrivare prima vi ingoierà, poi vi risputerà. Tranne uno. Fortunato? Sfortunato? Non si sa.
Ambarabà. Giuseppe Culicchia